Educazione e rieducazione nei campi per "nomadi": una storia 1 [Il saggio è apparso nel fascicolo "I campi per stranieri in Italia" a cura di Matteo Sanfilippo della rivista trimestrale Studi Emigrazione, XLIII (164): pp. 857-874 per info: www.cser.it] Luca Bravi (Università di Firenze) e Nando Sigona (Oxford Brookes University) 1. Introduzione 1 campi per rom e sinti hanno una lunga storia, una storia in cui l'idea della rieducazione di soggetti considerati "asociali" svolge un ruolo di primo piano. Durante il '900, la presunta "asocialità" di rom e sinti ha trovato diverse giustificazioni e connotazioni, salvo, però, restare, talvolta sullo sfondo, talvolta ben in evidenza, un fulcro dei discorsi che poi hanno condotto ai campi. Il campo è il luogo dove si confina chi è percepito come diverso, una tecnologia del potere e, al contempo, un dispositivo di governance. Il "nessuna parte", il "nonluogo", dove relegare l'umanità in eccesso . Il campo - e qui è possibile tracciare una linea che collega l'esperienza dei "campi nomadi" italiani ai campi profughi e ai centri di permanenza temporanea per immigrati- è il luogo dove i soggetti, persa la loro individualità, imbrigliati in categorie burocratiche massificanti, ridefiniscono se stessi sulla base di queste stesse pratiche e categorie. Questa ridefinizione non è semplice interiorizzazione meccanica di una realtà esterna e coercitiva, «il campo - piuttosto - crea e diventa chi vi abita, ne oggettiva la differenza, la costruisce e la caratterizza inseparabilmente, tanto verso l'interno quanto verso l'esterno» . Tra le varie definizioni in grado di cogliere oggi una delle specificità dell'Italia, quella che la descrive come il "paese dei campi" ci sembra possa rappresentare il punto di partenza per una riflessione che affonda le proprie radici nella storia europea 4 . L'immagine del povero zingarello ancestralmente legato al viaggio perpetuo costituisce un elemento fondante del sistema che ha prodotto i "campi nomadi" in Italia. La burocratizzazione di uno stile di vita, che aveva e, marginalmente ancora ha, una sua ragione storica, sociale ed economica, è il nodo centrale di questo processo 5 . Questo passaggio prefigura un ulteriore ambito di intervento dei governi nazionali rispetto al "problema zingari": il nomadismo rappresentava ormai da secoli un chiaro elemento di asocialità, un problema in ambito di Pubblica Sicurezza e la sedentarizzazione di soggetti ritenuti 1 1 paragrafi 2, 3 sono da attribuire a Luca Bravi; i paragrafi 4, 5 e 6 a Nando Sigona. Introduzione (1) e conclusioni (7) sono state scritte da entrambi. 2 BAUMAN, Zygmunt, Vite di scarto,. Roma-Bari, Laterza, 2005; RAHOLA, Federico, Zone definitivamente temporanee. Verona, Ombre corte, 2004; AUGE, Marc, // senso degli altri. Torino, Bollati e Boringhieri, 2000. 3 SIGONA, Nando, I confini del "problema zingari": rom e sinti nei campi nomadi d'Italia. In: CAPONIO, Tiziana; COLOMBO, Asher, Migrazioni globali, integrazioni locali. Bologna, Il Mulino, 2005, pp. 267-293; si veda anche SIGONA, Nando; MONASTA, Lorenzo (a cura di), Cittadinanze Imperfette. Rapporto sulla discriminazione razziale di rom e sinti in Italia. Santa Maria Capua Vetere, Edizioni Spartaco, 2006. 4 EUROPEAN ROMA RIGHTS CENTER (a cura di), // paese dei campi. Roma, Carta, 2000. 5 SIGONA, Nando, Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l'invenzione degli zingari. Civezzano, Edizioni Nonluoghi, 2002; ID., Locating the "Gypsy problem". The Roma in Italy: stereotyping, labelling and nomad camps, «Journal of Ethnic and Migration Studies», XXXI, 4, 2005, pp. 741-756. pericolosi perché in movimento, cominciava a legarsi saldamente ad un percorso di civilizzazione di cui i rom diventavano oggetto passivo di intervento. Unificato dallo spirito nomade, un intero popolo diventava soprattutto un soggetto da rieducare, da ricondurre cioè all'interno degli schemi condivisi dalla cultura dominante. Le parole di Adriano Colocci a proposito del nomadismo ci offrono un'immagine nitida di questo processo: «il Nomadismo nell'uomo elevato allarga lo spirito, lo educa alle intuizioni più vaste [...], nell'uomo inferiore, come nello zingaro [...] fomenta l'instabilità del carattere, [...] lo disusa al lavoro costante e gli facilita la cupidigia per la roba d'altri e per la donna altrui [...]. Nell'uomo inferiore il Nomadismo distrugge ogni idea di Patria» 6 . "Nomadismo", "asocialità" e "rieducazione" diventano i tre cardini intorno ai quali ruota il discorso pubblico sul cosiddetto "problema zingari" nell'ottica di una sua definitiva risoluzione 7 . In un simile contesto di controllo sociale e di progettazione rieducativa, il "campo nomadi" rappresenta l'unico luogo permesso al popolo rom e sinto, perché area distante dalla città civile, ma anche zona su cui continuare ad esercitare un controllo secondo norme che tutelino la sicurezza degli altri cittadini, in attesa che la pressione educativa impiegata dalle strutture statali trasformi soggetti ritenuti pericolosi in individui socializzati. Il campo è l'oggettivazione dello "stato di eccezione", in cui la legge sospende se stessa ed in cui vengono ammassati individui che rappresentano la materia di scarto di una società coesa intorno ad un contratto sociale condiviso dal gruppo più numeroso e con maggior potere 8 . Lo stato di eccezione azzera i diritti di cittadinanza 9 e nega agli individui concentrati all'interno di simili aree la possibilità di vedersi riconoscere come soggetti politici attivi, ma quello stesso stato di eccezione viene tollerato perché letto come fase di passaggio per il raggiungimento di un maggior benessere sociale; la rieducazione si configura all'interno di questo spazio, come un moderno strumento volto al raggiungimento dell'obiettivo da parte del gruppo egemone. 2. Antecedenti La storia secolare dei rom d'Europa, se inserita in un continuum in cui questa si intrecci, come è naturale che sia, con le vicende dei non-zingari, dimostra immediatamente che l'idea di rieducare gli zingari ha sempre ossessionato la società dominante fin da quando, tra Settecento e Ottocento, cominciarono a configurarsi gli stati-nazione. Ne percorreremo le tappe salienti a partire dal 1776, anno in cui Samuel Augustini ab Hortis, intellettuale della corte di Maria Teresa, pubblicò Zingari in Ungheria, la prima monografia di etnografia zingara nella quale già prefigurava la necessità di rieducare tali soggetti numericamente molto presenti sul territorio magiaro appena conquistato. 6 COLOCCI, Adriano, Gli zingari. Storia di un popolo errante. Torino, Loescher, 1889, p. 162. 7 SIGONA, N., Locating the "Gypsy problem ", op. cit. 8 AGAMBEN, Giorgio, Stato di eccezione. Torino, Boringhieri, 2003. 9 Quella dei rom si può definire una "cittadinanza imperfetta", per richiamare l'espressione adoperata nel rapporto sulla discriminazione razziale di rom e sinti in Italia di Osservazione: SIGONA, N.; MONASTA, L. (a cura di), Cittadinanze Imperfette, op. cit. Secondo i concetti che animavano la riforma Teresiana ogni soggetto che vivesse all'interno del regno doveva divenire suddito capace ed utile alla causa dello stato. Maria Teresa aveva così preso le distanze dalle pratiche di allontanamento e persecuzione messe in atto in tutta Europa nei confronti delle minoranze indesiderate, per passare al tentativo di una cosiddetta rieducazione degli "asociali" che significava semplicemente un'assimilazione totale ed incondizionata. Gli zingari dell'Ungheria avrebbero dovuto abbandonare forzatamente il nomadismo, la propria lingua, i propri abiti tradizionali, per darsi ad una stabile occupazione; avrebbero inoltre dovuto assumere la singolare denominazione di "nuovi contadini" o "nuovi coloni" per sottolineare il passaggio decisivo verso la loro civilizzazione coatta e per non lasciare minima traccia della loro condizione trascorsa. Gli scarsi risultati ottenuti, portarono successivamente Giuseppe II ad ordinare l'allontanamento dei piccoli rom dai propri genitori fin dai quattro anni di età dando vita a veri e propri rapimenti durante la notte. I bambini sarebbero stati affidati a contadini o congregazioni religiose per essere rieducati alla vita civile. I concetti di "educazione" e "ri-educazione" dei reietti si presentavano sulla scena europea nello stesso momento in cui l'organizzazione di stati centralizzati necessitava di definire in modo netto il riferimento ad una cittadinanza e per i rom cominciava ad essere coniata l'etichetta relativa ad una evidente "asocialità zingara". Attorno a questo elemento distintivo si sarebbero sviluppate le molteplici vicende di un popolo da tempo emarginato. Nonostante la politica rieducativa di Maria Teresa, i rom avevano infatti resistito, si erano conservate delle sacche interne all'impero austro- ungarico di soggetti che continuavano a «fare le cose romanes» 10 . Si faceva così strada un ulteriore elemento chiarificatore in grado di fornirci una chiave di lettura per il percorso di analisi che stiamo compiendo: il popolo dei cosiddetti zingari, afferma Henriette Asséo, è un popolo-resistenza, un gruppo capace di opporsi alle prepotenti pressioni assimilatrici provenienti dalla cultura dominante nella quale sono immersi 11 . La capacità di resistenza evidenziata avrebbe causato uno slittamento nel significato stesso che il termine "asocialità zingara" avrebbe assunto nel tempo. La fede nel progresso scientifico che sarebbe andata maturando, l'incontro dell'analisi antropologica con le scienze sociali e con la teoria positivista e la stessa scienza medica che sarebbe presto finita al servizio di teorie razziste si sarebbe espressa per voce di Cesare Lombroso che nel 12 1876 pubblicava la sua opera fondamentale, L'uomo delinquente . Per l'antropologo veronese i rom delinquevano perché naturalmente inclini a farlo: non esisteva una volontà cosciente, ma soltanto tendenze malvagie dipendenti dalla loro organizzazione fisica e psicologica differente da quella dell'uomo normale. Una simile interpretazione portava ad un'unica consequenziale soluzione: la "piaga zingara" non poteva essere risolta con alcun intervento educativo, poteva essere soltanto prevenuta e la persecuzione o la pena di morte potevano essere i soli mezzi per arrestarla PIASERE, Leonardo, / rom d'Europa. Una storia moderna, Roma-Bari, Laterza, 2004. II ASSEO, Henriette, Les Tsiganes: une destinée européenne. Paris, Découvertes Gallimard, 1994. 12 LOMBROSO, Cesare, L'uomo delinquente. Milano, Hoepli, 1876. sul nascere. La "asocialità zingara" aveva cioè assunto una connotazione genetica ed ereditaria. Robert Ritter, Adolf Wurth, Eva Justin e tutti gli altri ricercatori che lavorarono all'interno dell'Unità di Igiene Razziale del Reich dettero seguito a questa stessa tesi arrivando a definire addirittura il gene del Wandertrieb, cioè il gene dell'istinto al nomadismo, come fattore specifico che rendeva i rom delle «vite non degne di vita» perché razzialmente impuri . Nella Germania nazista, gli zingari avrebbero conosciuto la segregazione nei campi fin dal 1936 (molte sono comunque le leggi ad essi avverse assai precedenti al regime), anno in cui apriva anche il campo di Berlino-Marzahn, alla periferia della capitale, ma ben visibile ai tanti viaggiatori che percorrevano in treno lo snodo ferroviario nei pressi di quella stessa area di sosta forzata. Simili luoghi erano sorti in tutte le principali cittadine tedesche ed avrebbero rappresentato i serbatoi cui attingere quando fosse iniziata la deportazione verso i campi di sterminio, tra questi soprattutto Auschwitz-Birkenau 14 . Otto Rosenberg, un sinto tedesco scampato alla soluzione finale, ha raccontato l'intero percorso di persecuzione che lo avrebbe condotto fino al lager polacco sulle rive della Vistola. I suoi ricordi tornano anche al campo di sosta forzata di Berlino-Marzahn all'interno del quale il regime aveva voluto che fosse creata una scuola riservata ai piccoli internati. Vi si doveva imparare la disciplina, l'amore per la patria e per il suo Fiihrer 15 . 3. Campi di concentramento per zingari in Italia Un'esperienza simile si sarebbe verificata nell'Italia fascista. In Molise, nella cittadina di Agnone si trova oggi una casa di cura per anziani sorta all'interno dell'ex convento di San Bernardino. Quello stesso luogo, emblema di una colpevole amnesia storiografica a livello nazionale, a partire dal 14 luglio del 1940 era stato un campo di concentramento, dall'estate dell'anno successivo la medesima area sarebbe stata riservata all'internamento di soli zingari, soggetti ritenuti pericolosi socialmente e razzialmente dal regime fascista 16 .!.' 1 1 settembre 1940, Arturo Bocchini, capo della polizia italiana, aveva infatti ordinato il «rastrellamento e la concentrazione di zingari italiani e stranieri sotto rigorosa sorveglianza per porli in località adatte in ciascuna provincia» 11 . Le prefetture italiane arrestarono e raggrupparono famiglie di rom e sinti in attesa di indicazioni circa il luogo verso cui trasferirli. La risposta non tardò e gli «zingari» vennero imprigionati nei campi di concentramento italiani: Agnone, Arbe, Boiano, Cosenza, Gonars, Perdasdefogu, Prignano, Tossicia, le isole 13 HEUSS, Herbert; SPARING, Frank; FINGS, Karola, The Gypsies during the Second World War, I, From "Race Science" to the Camps. Hatfield, University of Hertfordshire Press, 1997. 14 BRAVI, Luca, Altre tracce sul sentiero per Auschwitz. Il genocidio dei rom sotto il Terzo Reich. Roma, Cisu, 2002. 15 ROSEMBERG, Otto, La lente focale. Venezia, Marsilio, 2000. 1 II riferimento ad una persecuzione fascista dei rom attuata anche per motivi razziali si basa su recenti ricerche che hanno permesso di individuare molteplici interventi di studiosi italiani riguardo una bonifica razziale nazionale che avrebbe coinvolto anche il gruppo degli zingari, vedere tra gli altri SEMIZZI Renato, Gli zingari, «Rassegna di clinica, terapia e scienze affini», XXXVIII, 1, 1939, pp. 64-79. 17 Vedi BOURSIER, Giovanna, Gli zingari nell'Italia fascista . In: PIASERE, Leonardo (a cura di), Italia Romani. Roma, CISU, 1996, p. 8. Tremiti, Vinchiaturo, al cui interno erano già presenti, tra gli altri, ebrei ed oppositori politici. Il 26 agosto di quello stesso anno, l'Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza, Antonio Panariello, in una personale comunicazione alla Direzione Generale presso il Ministero dell'Interno, sottolineando la presenza di 65 zingari a San Bernardino e proprio in occasione dell'arrivo dei nuovi internati, faceva presente di aver anticipatamente raccomandato al funzionario dirigente del campo di intensificare le misure di vigilanza e di igiene. Quanto riportato in oggetto alla comunicazione di Panariello chiarisce il motivo di simili misure aggiuntive: Agnone era diventato un "campo di concentramento per zingari". Le misure di sicurezza previste erano legate alla «tipica scaltrezza zingara» nel riuscire a fuggire dai luoghi di detenzione. Il 3 luglio 1943 Guglielmo Casale, direttore del campo di Agnone, riceveva risposta dalla Regia Direzione Didattica: l'idea che aveva espresso pochi mesi prima, quella di voler creare una scuola interna al campo di concentramento per educare i figli degli zingari internati era stata accolta e dal 9 gennaio di quello stesso anno, la maestra Carola Bonanni, orfana di guerra ed insegnante nella scuola rurale della borgata Collemarino, vi avrebbe svolto lezione, a titolo gratuito, sulla disciplina e sulla storia del fascismo, allo scopo di fare di quegli zingari, dei soggetti utili al regime. Nel pomeriggio, un sacerdote avrebbe invece provveduto ad insegnare loro il catechismo. Si trattava di una «educazione intellettuale e religiosa» rivolta ai minori zingari all'interno di una scuola nata su richiesta del comandante del campo e per interessamento della locale questura presso la direzione didattica. La relazione redatta il 3 luglio 1943 dal direttore didattico, Cavaliere Salvatore Bonanni, fornisce una descrizione dell'attività scolastica degli internati di Agnone: Il 9 gennaio Vi fu l'inaugurazione della scuola alla presenza delle Autorità locali. Ammirai la bella aula adornata di bandierine, con il Crocifisso, i ritratti di S.M. il Re Imperatore e del Duce, la carta d'Italia ed altre carte del teatro della guerra, nonché i piccoli ragazzi con grembiulini neri e tutti ben puliti. Le lezioni iniziarono in una data storica e con un vibrante saluto al Re ed al Duce. Ho notato in diverse visite, che le lezioni hanno avuto luogo puntualmente e che la Maestra non è stata mai assente, recandosi al Campo di Concentramento, alquanto distante, anche nelle giornate fredde e di cattivo tempo, dimostrando passione nella scuola e di sentire appieno il suo nobile apostolato. Infatti, invitato da Voi, gentilmente, per la chiusura delle lezioni e quindi per una prova finale, ho potuto constatare il paziente ed intelligente lavoro della Maestra che è riuscita a far parlare il nostro bell'idioma ai ragazzi che parlavano il loro dialetto "zingaresco", di apprendere tante e svariate nozioni di cultura generale, infondendo loro amore alla nostra Patria, al Capo della Nazione e del Governo, rispetto a tutte le Autorità, quel senso di disciplina nei loro doveri, e di conoscere, in qualche modo, le grandezze e le bellezze dell'Italia fascista e l'opera amorosa che il governo svolge anche per gli internati. Dei 21 alunni che hanno frequentato la I classe, e non tutti dal giorno dell'inizio delle lezioni, sono stati promossi 8, ma tutti sono stati in grado di calcolare, rispondere con qualche precisione alle domande, dimostrando disciplina ed attaccamento alla scuola 18 . Le lezioni finivano il 30 giugno 1943 ed otto studenti del campo superavano l'esame finale, ma tutti avevano imparato la lingua italiana e dimostravano di aver appreso «uno stile di vita civile ed il rispetto verso il governo della nostra nazione e verso il suo capo supremo». In generale quindi la scuola funzionava ed i funzionari fascisti del luogo annotavano che quei giovani abbandonavano il loro stile di vita degradato. Lo scopo individuato per la scuola rivolta agli zingari di Agnone lo si intuisce da quella stessa relazione: A voi, poi, Sig. Commissario, che con cuore paterno avete voluto ai figli degli internati affidati alla Vostra sapiente vigilanza, aprire il cuore e la mente con una sana educazione italiana, perché un giorno questi ragazzi, intelligenti e bravini, possano seguire non più le orme dei loro genitori, e che date continua prova di ottimo e scrupoloso funzionario, giunga il mio plauso sentito e cordiale 19 . Al termine dell'anno scolastico, la maestra Carola Bonanni, che aveva prestato la propria opera a titolo gratuito, avrebbe ricevuto, su segnalazione della direzione generale di Pubblica Sicurezza e per successiva concessione del Ministero dell'Educazione Nazionale, una gratificazione di lire cinquecento «per la propria diligenza e assiduità». La dittatura fascista otteneva così la «rieducazione» di soggetti definiti «asociali». Lo scopo era quello di attivare sugli zingari una «educazione nazionale» in grado di definirne lo status di cittadini, in quanto soggetti utili al governo della nazione. Il concetto di "utilità" si allargava naturalmente e soprattutto in tale contesto, alla necessità di accettare e sottostare a regole imposte e condivise che nascondevano dietro il termine di «acquisizione dello stato di cittadino gradito al regime», l'immagine di un soggetto controllabile e dunque non pericoloso per la stabilità del paese. Quello di Agnone non era l'unico caso in cui i rom internati nei campi italiani si trovarono a dover frequentare la scuola durante il periodo di prigionia: un'altra testimonianza riportata da Katia Truzzi rivela che la madre con altri bambini sinti assistette a delle lezioni durante la prigionia a Prignano sulla Secchia, nel modenese, altro luogo sconosciuto alla storia in cui sono state reperite le liste che provano l'internamento forzato di 79 zingari . I piccoli zingari "rieducati" ad Agnone non furono comunque liberati, si stava infatti muovendo sullo sfondo la ricerca razziale fascista che avrebbe inserito anche i rom tra i soggetti da sottoporre ad un diverso trattamento per la bonifica della razza. Solo l'armistizio ed il successivo caos in cui piombò il sistema concentrazionario italiano evitarono che i fini indicati dalla scienza della razza si realizzassero concretamente. Dalle prime esperienze rieducative in Ungheria fino ai campi di concentramento fascisti con le loro scuole, l'ossessione rieducativa rivolta verso la minoranza rom sembra accompagnarne costantemente le vicende storiche ed il rapporto con i non-zingari. Tale idea appare talmente strutturata e sedimentata all'interno degli schemi mentali della cultura dominante da veder riproporre lo stesso binomio campo-rieducazione anche all'interno di luoghi sorti per la persecuzione o addirittura come meta intermedia verso il genocidio. Simili avvenimenti rimossi, negati e taciuti dalla memoria collettiva consegnano una nuova chiave 18 TANZJ, Francesco Paolo (a cura di), / campi di concentramento nel Molise. San Bernardino e i confinati politici di Agnone. Agnone, ISISS, 2001, pp. 1 14-1 15. 19 Ibidem. 20 TREVISAN, Paola (a cura di), Storie e vite di sinti nell'Emilia. Roma, Cisu, 2005. di lettura di fronte ai campi di oggi. 4. 1 "campi nomadi" La soluzione amministrativa "campo nomadi", nelle sue diverse tipologie, è da almeno trenta anni il modello di riferimento delle politiche abitative per rom e sinti in Italia. Le diverse morfologie sono il risultato tanto della diversità esistente nel mondo rom e sinto, quanto dei quadri politici locali, del potere contrattuale delle associazioni di volontariato, del prototipo di zingaro che il legislatore, laddove esiste una legge regionale a tutela dei rom, ha avuto in mente. Un breve excursus sulla genesi delle prime "aree di sosta per nomadi" tra la fine degli anni 1960 e gli inizi dei 1970 può fornire interessanti elementi di riflessione sulla vicenda dei campi in Italia e sulla relazione tra educazione dei bambini e rieducazione degli adulti. L'Opera Nomadi - costituita nel 1963 a Bolzano, divenuta associazione nazionale nel 1965 e successivamente riconosciuta "ente morale" dallo stato (Decreto del Presidente della Repubblica n. 347 del 1970) - svolse un ruolo di primo piano nella promozione sociale di rom e sinti e nella nascita delle prime aree attrezzate per la sosta delle carovane. Erano gli anni dei divieti di sosta per i nomadi e ancora non era stata emanata la prima circolare del ministero degli Interni (11 ottobre 1973) a tutela del diritto al nomadismo. Le carovane di rom e sinti itineranti, soprattutto nel nord Italia, erano costrette a muoversi continuamente. La politica di espulsione, adottata da quasi tutte le città settentrionali, rendeva la vita delle famiglie precaria e impediva ai bambini di poter frequentare in modo continuativo la scuola. Fu proprio quest'ultimo aspetto a spingere un gruppo di volontari a sperimentare, dapprima a Bolzano e a Milano, le classi speciali "Lacio Drom", che in pochi anni diventarono oltre sessanta. Lo scopo educativo di questi interventi andava ben oltre la questione della scolarizzazione dei bambini. Piuttosto, attraverso i bambini, si voleva innescare un processo di cambiamento all'interno della comunità perché, scrive un volontario al tempo, «i condizionamenti tradizionali del gruppo, quali il sesso, il culto dei morti, la religione ecc. rendono difficile l'evoluzione dello zingaro e la sua maturazione sociale. Tale maturazione è ostacolata inoltre dallo stato di marginalità e di 21 inferiorità in cui si trova a vivere il popolo nomade» . Il doppio binario che lega educazione e rieducazione, intervento sui bambini e sviluppo degli adulti, si palesa in un altro passaggio dello stesso documento, dove si afferma: «A causa della sua cultura lo zingaro è in ritardo, è un bambino che deve essere aiutato a crescere, a recuperare il suo gap». L'ultimo anello di questa argomentazione ci riporta all'inizio. Come fare? Ci si domandava. L'istituzione dei centri-sosta è secondo il volontario dell'Opera Nomadi di Trento il primo intervento necessario per avviare gli «zingari» sulla via dello sviluppo. Si tratta di un tipo d'intervento «prettamente politico e non assistenziale» che spetta alle amministrazioni locali. Infatti, «il popolo zingaro si trova nei AZZOLINI, Claudio, Zingari e nomadi "problema sociale" . Trento, Opera Nomadi, 1971, p. 17. confronti della nostra società in una posizione di sottosviluppo e marginalità. Spetta quindi alla nostra società l'iniziativa. Il primo passo per agire concretamente è l'attuazione di un centro sosta 22 [...] non si vede possibile altrimenti un'educazione scolastica e comunitaria» . Si tratta quindi di un intervento sociale a favore degli zingari ma anche, e soprattutto, sugli zingari. Rispetto al "centro sosta", appare chiaro sin dall'inizio quale è il rischio che si corre. «Il centro sosta non dovrà mai essere un'istituzione assistenziale, bensì sociale. [...] Se il centro sosta dovesse divenire o un CAMPO DI CONCENTRAMENTO o il GHETTO DEI NOMADI sarebbe ugualmente dannoso. È evidente quindi la necessità di un ordinamento interno al campo sosta, che permetta via 23 via l'autogestione» . Nei documenti del periodo, il nomadismo e con esso la tradizione sembrano scontrarsi con il continuo richiamo all'arretratezza degli zingari e al bisogno di emanciparli attraverso la scuola. Il testo dell'ordine del giorno di un'assemblea dell'Opera Nomadi di Torino e Cuneo, a cui partecipano anche i maestri "Lacio Dram" e le autorità locali, ci permette di capire meglio il significato strategico che per i volontari dell'organizzazione assumeva allora la scolarizzazione. Tra i «provvedimenti urgenti ed indispensabili per garantire la continuità e la massima efficacia della promozione sociale dei gruppi zingari» c'è, in primo luogo, l'applicazione della scuola a tempo 24 pieno in età scolare e prescolare, seguita dall'istituzione di sedi di sosta debitamente attrezzate . A proposito del tempo pieno e del fatto che i bambini venissero sottratti per buona parte della giornata alle proprie famiglie, sostiene un amministratore locale di Milano molto attivo sulla «questione zingari» che il vantaggio è duplice: «un'azione educativa [di questo tipo] conduce anche ad un'integrazione effettiva dei bambini nella vita della comunità urbana» e, allo stesso tempo, «sottrae i bambini alla strada, che a Milano significa questua, mendicità, azioni sicuramente non educative» 25 . Milano nella seconda metà degli anni '60 si fece portatrice di un'esperienza pilota a favore delle comunità rom e sinte residenti nel territorio comunale. Le motivazione e l'ethos dell'intervento milanese sono riassunti nelle parole di Giorgio Vallery, il quale chiarisce che l'obbiettivo del Comune è «un 'azione che non è discriminatoria, non è paternalista e che tende più di ogni cosa ad essere globale [...] Si tratta di un problema sociale, di carattere generale, che ci proponiamo di risolvere secondo i principi e i criteri della sociologia, della psicologia, delle scienze umane e non più secondo schemi molto più arcaici, tradizionali e limitati quali quelli della semplice assistenza, che sovente offende la dignità della persona umana senza creare le condizioni del suo sviluppo integrale nella comunità» 26 . Fu istituito per coordinare gli interventi un «Comitato per l'Integrazione Culturale e Sociale» a cui 22 Ibidem, pp. 19-22. 23 Ibidem, pp. 21-22, maiuscolo nel testo originale 24 Riportato nella rivista «Lacio Drom», 1967, n. 4-5-6, p. 39. 25 VALLERY, Giorgio, L'azione del Comune di Milano, «Lacio Drom», 1967, n. 4-5-6, pp. 61-69. 26 Ibidem, p. 61. spettava di garantire il coordinamento degli interventi messi in campo. «Un'azione concentrica di ordine educativo, sociale, sanitario ed economico (formazione al lavoro) - dirà l'antropologo 27 Leonardo Piasere - centrata completamente sul nuovo campo sosta allestito». Il campo sosta è quindi già in questa fase il luogo strategico in cui sono concentrate le azioni rivolte ali 'integrazione effettiva dei rom. Per vincere le resistenze dei nomadi è necessario ricorrere ad un intervento da più fronti, «da parte delle insegnanti nei corsi, da parte degli assistenti sociali negli incontri con i capi famiglia» e da parte di coloro che seguono il lavoro nei cantieri dove vengono addestrati i rom e 28 viene verificata «la loro resistenza alla fatica» . Insieme a Milano altri comuni del nord Italia, ben prima delle leggi regionali, hanno allestito «aree di sosta per nomadi» (per esempio: Udine, Mestre, Reggio Emilia, Pistoia, Torino, Bologna, Verona, Cuneo, Lucca) 29 . Dalla lettura dei primi numeri della rivista di studi zingari «Lacio Dram», risalenti agli anni '60, si ricavano alcune indicazioni interessanti sull'idea che gli esperti avevano della cultura zigana. Una idea che, con diverse sfumature, ritroviamo nelle pratiche di intervento dei volontari del tempo. La cultura appare slegata dal contesto socio-politico, è piuttosto un'insieme di riti, costumi, usanze elaborate in un passato edenico e che rischiano di scomparire nella società industriale e capitalista occidentale. Una cultura-tradizione che talvolta appare come causa del "ritardo" dei rom, altre volte come sistema da cui scegliere gli elementi da conservare e quelli da far sparire. La scuola, all'interno di questa visione, diventa il veicolo per la promozione sociale e spirituale di rom e sinti che, dice Mirella Karpati, nel processo di sedentarizzazione in atto, subiscono un regresso, «in quanto all'abbandono della tradizione zingara non subentra l'assunzione di valori nuovi, con una conseguente situazione di anomia» 30 . Valori che, sembrano suggerire questi interventi, devono essere forniti dalla società maggioritaria attraverso la scuola e il suo indotto, essendo loro incapaci di vivere la contemporaneità. 5. Difendere il nomadismo: le leggi regionali e i "campi nomadi" A partire dal 1984 alcune Regioni italiane hanno varato leggi rivolte alla tutela dell'etnia e della cultura rom e sinta. Sin dalla loro intestazione è evidente lo scarto rispetto al passato quando, il più delle volte, questi gruppi erano considerati un mero affare di polizia, non certo degni di tutela. C'è da rilevare però come in molti casi queste norme hanno finito più che altro per tutelare la società dei gagé (i non-rom) dai rom. Le premesse di principio della legge regionale veneta, varata nel 1984 su proposta della Democrazia Cristiana e con il sostegno dell'Opera Nomadi, evidenziano questa 27 PIASERE, Leonardo, Les pratiques de voyage et de stationament des nomades en Italie . In: Reyniers, Alain (a cura di), Les pratiques de deplacement, de halte de stationament des populations tsiganes et nomades en France. Paris, Centre de Recherches Tsiganes, 1985, pp. 143-195. 28 VALLERY, G., L'azione del Comune di Milano , op. cit., p. 65 29 Si vedano i primi numeri di «Lacio Drom» che raccontano le vicende di questi insediamenti (1966, n. 2, pp. 19-20; 1968, n. 1, pp. 32-33; 1968, n. 2, pp. 41-47; 1968, n. 3, pp. 23-30; 1969, n. 3-5, pp. 69-83; 1969, n. 6, p. 41. ambivalenza di fondo: «la sosta dei gruppi ha creato e crea problemi di varia natura, in tema di rapporti con le comunità locali, come anche in tema di ordine pubblico. Affrontati a posteriori o in termini solo repressivi, questi problemi non sono scomparsi, ma anzi si sono sempre riproposti, anche aggravati; è necessario quindi affrontarli a priori, con un insieme di misure che valgono a scongiurarli, e comunque ad attenuarne la portata, corresponsabilizzando in varia forma le comunità interessate»^ . A questa legge sono seguite quella di Lazio (1985), Provincia Autonoma di Trento (1985), Sardegna (1988), Friuli Venezia Giulia (1988), Emilia Romagna (1988), Toscana (1989), Lombardia (1989), Liguria (1992), Piemonte (1993) e Marche (1994). Emilia Romagna e Toscana hanno apportato nel tempo modifiche al testo originario adattandolo ad una realtà in forte trasformazione, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Elemento comune a tutti i dispositivi normativi è il riconoscimento del nomadismo come tratto culturale caratterizzante rom e sinti, dal quale consegue la tutela del diritto al nomadismo e alla sosta nel territorio regionale. Questa prima considerazione consente di comprendere la centralità che in tutte le leggi hanno le disposizioni relative alla creazione di aree di sosta e transito appositamente attrezzate da destinare ai nomadi. Le numerose similitudini tra le norme hanno spinto taluni commentatori a parlare di "leggi fotocopia". I temi trattati nei testi di legge variano minimamente da regione a regione, ciò che muta è la maggiore o minore definizione degli obiettivi, degli interventi e delle risorse che si intendono destinare perché questi vengano attuati. Scrive Jean-Pierre Liégeois a proposito dell'utilizzo strumentale da parte del potere politico di elementi culturali, o presunti tali, dei gruppi rom e sinti: «il discorso politico, [...], fa pure lui largo uso di immagini stereotipate, sia nel modo di rappresentare Zingari e Viaggianti nei testi di legge e nei regolamenti, sia nelle definizioni introdotte nel corso dell'azione politica. [...] Per questo nel corso degli anni si assiste a una trasformazione delle immagini in funzione dell'uso che deve essere 32 fatto e in funzione dell'evoluzione delle istituzioni» . Il "discorso pubblico", l'insieme di definizioni pubbliche prodotte dai media (nazionali e locali), legittimate da esperti, scienziati o testimoni privilegiati, assurte poi a verità e rese operative dal sistema politico, determina il confine entro il quale si può definire la cultura altrui, e seleziona gli elementi che gli appaiono più funzionali al discorso stesso . Definire la cultura di un popolo all'interno di una legge è rischioso. Il rischio è l'essentializzazione della cultura: il fissare in pochi scatti quello che è invece un flusso continuo, un processo di definizione e ridefinizione privo di confini predeterminati. La cultura elencata nelle leggi diventa un insieme di elementi isolati, privi di contesto, diventa tradizione, qualcosa ineluttabilmente riferito al 30 KARPATI, Mirella, La situazione attuale degli Zingari in Italia, «Lacio Drom», 1969, n. 3-5, pp. 77-83. 31 L.R. Veneto, 1984. 32 LIEGEOIS, Jean-Pierre, Rom, Sinti, Kalè... Zingari e Viaggianti in Europa. Roma, Ed. Lacio Drom, 1994, p. 156. 33 DAL LAGO, Alessandro (a cura di), Lo straniero e il nemico. Milano, Costa e Nolan, 1998. passato, un passato mitico, astorico. Nel contesto italiano, il nomadismo è individuato come l'elemento caratterizzante delle minoranze rom e sinti, tanto che alcune norme e molti giornali utilizzano la denominazione "nomadi" per individuare l'intero gruppo etnico. D'altra parte, è ormai acquisito che molti dei gruppi presenti oggi sul territorio italiano, soprattutto quelli giunti recentemente in seguito alle guerre che hanno devastato la regione balcanica, provengono da esperienze di prolungata stanzialità e si sono trovati a scappare dal proprio paese a causa della guerra e non per un atavico bisogno di viaggiare 34 . L'assenza di un sistema di accoglienza per i profughi ha costretto queste persone, una volta giunte in Italia, a trovare rifugio presso parenti e conoscenti all'interno dei campi già esistenti 35 . D'altra parte anche tra i gruppi storici di rom e sinti, tradizionalmente dediti ad attività itineranti, è in atto (già dagli anni '60) un processo di sedentarizzazione legato a numerosi fattori, tra cui la rivoluzione dei trasporti, la trasformazione delle attività economiche, l'irrigidimento del sistema statale e della macchina burocratica e la progressiva chiusura degli spazi per la sosta. C'è da rilevare uno scarto netto tra le abitudini di vita dei diversi gruppi Rom, stanziali o comunque sempre meno itineranti, e quanto le leggi regionali si prefiggono di tutelare, in primis il diritto al nomadismo. Il gap tra l'immagine dello "zingaro" avvalorata dalle norme e la realtà, fatta di comunità molto diverse con aspirazioni, esigenze e bisogni differenti, rende le norme non sempre adeguate a rispondere ai processi di trasformazione in atto nel mondo zingaro. L'azione dei poteri locali che sono chiamati a dare applicazione ai principi sanciti nelle leggi regionali, tende piuttosto a negare la complessità e a ricondurla all'interno di contenitori isolati ed isolanti: i "campi nomadi". Allo smascheramento dell'ideologia che sottende la scelta campo si deve aggiungere una critica serrata della «retorica del campo nomadi» che si nutre di concetti pseudo-antropologici per legittimare una soluzione abitativa che si rivela spesso un ghetto, una gabbia in cui rinchiudere gli zingari. Ma è necessario anche prendere in considerazione le conseguenze che il campo, per il suo mero esistere, esercita su rom e sinti, sul loro modo di relazionarsi con il mondo circostante. 6. Campi e scuola: ritorno a Bolzano Nel 2000, rispondendo alle critiche mosse dal Comitato delle Nazioni Unite per i Diritti Economici, Sociali e Culturali (CESCR), l'ambasciatore Claudio Moreno, membro della delegazione italiana, ha riferito degli sforzi fatti dal governo italiano per offrire dei percorsi educativi specificamente costruiti per andare incontro ai bisogni dei rom. Inoltre, in quell'occasione, ha aggiunto che «circa quattromila bambini rom di diversi campi nomadi sono stati integrati nel sistema scolastico 34 SIGONA, N., Figli del ghetto, op. cit. 35 BRUNELLO, Piero (a cura di), L' urbanistica del disprezzo. Roma, manifesto libri, 1996; ZETTER, Roger, GRIFFITHS, David; SIGONA, Nando, Survey ofpolicy and practice related to refugee integration in the EU, rapporto di ricerca. Oxford, Oxford Brookes University, 2002. Disponibile all'indirizzo: www.brookes.ac.uk/schools/planning/dfm/; OSELLA, Carla (a cura di), Zingari profughi, il popolo invisibile. Torino, Edizioni Gruppo Abele, 1997. italiano» . In contrasto con quanto riferito dall'ambasciatore, nelle Osservazioni conclusive del Comitato per i Diritti dei Bambini (CRC) (XXXII sessione), il comitato esprime «profonda preoccupazione per la difficile situazione sociale [dei bambini rom] e le difficoltà di accesso alla scuola e ai servizi sanitari» 38 . La crescita nel numero di bambini rom iscritti a scuola, sebbene sia un dato rilevante, va letta in relazione anche ad altri elementi cruciali quali la frequenza, la vita di classe e i risultati conseguiti. Il più delle volte, si è riscontrato che ad un buon livello di iscrizioni non hanno fatto seguito iniziative volte a favorire e facilitare la partecipazione dei bambini rom alla vita scolastica. I programmi di insegnamento hanno spesso fallito nell'offrire una risposta ai bisogni degli alunni rom e nel guardare positivamente al contributo che gli alunni rom possono portare alla vita di classe 39 . Piuttosto che essere un luogo dove costruire relazioni positive e egualitarie tra alunni e tra alunni ed insegnanti, la scuola diventa molto spesso un luogo dove si perpetua e rinforza l'emarginazione dei rom. L'impiego di "mediatori culturali" in alcune città ha prodotto dei risultati positivi, svolgendo un ruolo di ponte tra gli insegnanti e i genitori, anche se, va detto, non possono certo queste figure risolvere i problemi sostanziali causati dalla situazione di marginalità sociale ed economica vissuta dai bambini rom e sinti e dalle loro famiglie. «Le scelte o l'indifferenza delle amministrazioni locali, che relegano o lasciano in condizioni di marginalità i gruppi di rom che abitano nelle città, comportano il mantenimento di una distanza, l'impossibilità di realizzazione di uno spazio sociale comune, in cui rom e non rom possano costruire relazioni sulla base del riconoscimento reciproco e dell'attribuzione di significati condivisi a medesime realtà, quali potrebbe essere la scuola» 40 . In molte scuole si sono registrate iniziative dirette alla promozione della cultura romani, anche se talvolta questi stessi progetti finiscono per veicolare immagini stereotipate e astratte della cultura di rom e sinta; inoltre la mancanza di continuità degli interventi, legati a finanziamenti discontinui, insufficienti e elargiti a pioggia senza una programmazione adeguata e misure di monitoraggio e valutazione dei risultati, rende ulteriormente difficile la situazione. Sebbene con alcune eccezioni, i risultati dei bambini rom tendono ad essere inferiori rispetto a quelli degli altri alunni, alla domanda sul perché questo accade, molto spesso insegnanti e operatori/trici ci rispondono adducendo non meglio precisati motivi culturali o presunte tare genetiche. 36 PIASERE, Leonardo, Un mondo di mondi. Antropologia delle culture rom. Napoli, L'Ancora, 1999. 37 CESCR, Summary Record ofthe 6' h meeting: Italy, 2000 (03/05/2000. E/C.12/2000/SR.6). 38 CRC, Concluding Observations ofthe Committee on the Rights ofthe Child: Italy, 2003 (CRC/C/15/Add.l98). 39 Si veda per un approfondimento PIASERE, Leonardo; SALETTI SALZA, Carlotta; TAUBER, Elisabeth, L'educazione dei bambini sinti e rom: risultati preliminari di una ricerca europea. In: SCARDUELLI, Pietro (a cura di) Antropologia dell'Occidente. Roma, Meltemi, 2003 pp. 103-134, SIDOTI, Simona, Apprendisti scolari, alunni renitenti. Il caso speciale dei camminanti di Noto, «Antropologia», 4, 4, 2004, pp. 1 17-139. 40 BACCHINI, Dario; CICCARELLI, Chiara, Status sociometrico nel gruppo deipari e reputazione presso gli insegnanti di un gruppo di bambini rom in una scuola elementare di Napoli, «Psicologia dell'educazione e della Formazione», 7, 1, 2005 pp. 36-61. Nel giorno della visita al campo dei sinti di Bolzano, abbiamo fatto visita, su invito del gestore del campo, alla classe dove si svolgeva la scuola speciale per i residenti. La scuola è stata introdotta ufficialmente quattro anni fa come misura temporanea al fine di migliorare la frequenza e i risultati scolastici degli alunni sinti. La classe era ben tenuta e fornita di materiale didattico. Ma, nonostante fosse un normale giorno di scuola, non vi erano alunni. Le sedie erano sui banchi. Alla nostra domanda circa la frequenza degli alunni, l'insegnante ci riferiva che gli alunni stavano prolungando le vacanze di pasqua. Ma, ci teneva a sottolineare, «questa è un'eccezione, normalmente ci sono alunni in classe sebbene tendano ad andare e venire durante l'orario scolastico». Questa affermazione contrasta con quanto riferitoci poco prima dal gestore e dall'educatrice del campo che si erano trovati d'accordo nel dire che la frequenza era andata diminuendo sostanzialmente da Natale. Inoltre, hanno anche riferito che spesso non vi erano alunni in classe. Un senso di inevitabilità e accettazione passiva della situazione sono emerse dalle testimonianze di operatori sociali e assistenti sociali. «I sinti, per la loro cultura, non hanno interesse per la scuola», ha detto l'ex-gestore del campo. In più di un'occasione ci è stato riferito che la frequenza scolastica era molto bassa perché, a differenza dei rom, i sinti non potevano essere sollecitati a mandare i figli a scuola perché, essendo cittadini italiani e pertanto essendo il loro status giuridico sicuro, erano meno "gestibili". Da quanto raccolto, ci sembra che entrambi gli scopi dichiarati della scuola speciale - maggiore frequenza e migliori risultati scolastici - non siano stati raggiunti. Forse, è ancora valida la caustica critica di Piasere quando afferma che le iniziative di scolarizzazione per rom e sinti sono guidate da due principi dominanti: tenerli lontani dalle scuole per gli italiani almeno fino a quando non saranno "civilizzati" e, allo stesso tempo, limitare per quanto possibile il tempo che i bambini passano con i loro genitori 41 . 7. Conclusioni: campi d'oggi La popolazione rom e sinta residente nel paese è cambiata notevolmente; è cresciuto il numero di rom stranieri, soprattutto di provenienza romena e jugoslava che non hanno una tradizione itinerante alle spalle. Inoltre, è generalmente accettato che è in atto ormai da un paio di decenni un processo di sedentarizzazione che vede anche le comunità tradizionalmente dedite ad un'economia di viaggio abbandonare o quanto meno ridurre la loro mobilità. I campi di oggi, quelli irregolari e quelli regolari, sono molto spesso occupati stabilmente da chi ci vive. In corrispondenza dell'apertura di aree ufficiali si verifica il progressivo processo di chiusura della città. Una volta allestito uno spazio per la sosta e trasferiti rom e sinti all'interno delle mura che lo 41 PIASERE, Leonardo, Popoli delle Discariche. Saggi di antropologia zingari. Roma, CISU 1991, p. 206. Alla fine del 2005 la classe di scuola media delocalizzata al campo sinti ha cessato di esistere. Gli alunni hanno iniziato a frequentare la scuola ordinaria come gli altri studenti bolzanini. Tanto i docenti che svolgevano le lezioni al campo quanto gli studenti e i loro genitori hanno mostrato un'iniziale ed evidente soddisfazione per il nuovo corso scolastico. delimitano, diventa sempre più difficile per quelli che non vi hanno trovato posto e per i nuovi arrivati potersi fermare in città . Gli interventi legislativi, e il discorso vale ovviamente per le leggi regionali italiane, che legittimano i provvedimenti in essi contenuti con la tutela del diritto al nomadismo, finiscono col diventare nel passaggio alla realizzazione pratica essi stessi dei deterrenti del nomadismo. Ed incentivano piuttosto quel fenomeno definito nomadismo forzato che consiste in una mobilità indotta slegata da ragioni di tipo economico, commerciale o culturale e strettamente dipendente dall'atteggiamento ostile e di chiusura delle amministrazioni locali e delle città. Le soluzioni abitative approntate, piuttosto che essere modellate sulle esigenze delle persone in carne e ossa a cui sono dirette, aspirano a standardizzare, un procedimento di risoluzione del disagio abitativo rivelatosi fallimentare anche rispetto ad altre categorie di cittadini, e che lascia ben poche speranze di miglioramento per il prossimo futuro 43 . In alcuni casi, le amministrazioni locali, consapevoli del dibattito in corso circa le trasformazioni in atto e la necessità di offrire ai rom una adeguata abitazione 44 , stanno cercando di ridefinire le loro strategie. Talvolta, però, questa ridefinizione diventa una mera operazione di maquillage, con l'etichetta "campo nomadi" sostituita da "villaggio d'accoglienza per rom" (vedi per esempio il caso di Napoli). Una critica della soluzione campo, quindi, non può prescindere da una critica più ampia del sistema che la produce. Le amministrazioni, impegnate unicamente ad individuare lotti di terra così poco desiderabili da non suscitare le proteste dei cittadini, con i loro interventi piuttosto che affrontare e risolvere il conflitto tra "nemici" si limitano a porre una distanza fisica tra loro, avvalorando implicitamente le ragioni della conflittualità. I campi nomadi di oggi, la cui nascita non è legata alle mire di selezione razziale di regimi totalitari, si reggono ancora sulla costruzione culturale di uno zingaro dipinto come asociale e catalizzatore di negatività da tenere necessariamente a distanza. In questo caso l'educazione può addirittura rappresentare un mezzo di riproduzione di stereotipie ed il campo nomadi, inteso come luogo fisico, diviene simbolo concreto di quegli schemi culturali condivisi che fungono da legittimazione ideologica dell'emarginazione di rom e sinti 45 . In tal senso, la rieducazione finisce per rivelarsi come elemento di chiara continuità rispetto alla storia dei campi e sembra legare in modo evidente i campi sorti per volere dei regimi totalitari del XX secolo a quelli costruiti successivamente in Italia, anche se animati da differenti obiettivi. L'educazione, se intesa nel moderno senso multiculturale, può certamente avere un ruolo determinante che non si esplicita né nella progettazione di interventi mirati su un soggetto che fa parte di una minoranza né nel semplice tentativo di fotografare una 42 MARCETTI, Corrado; MORI, Tiziana; SOLIMANO, Nicola, Zingari in Toscana. Firenze, Angelo Pontecorboli, 1993 43 TOSI, Antonio, Abitanti. Le nuove strategie dell'azione abitativa, Bologna, il Mulino, 1994. 44 Vedi decisione del Comitato Europeo per i Diritti Sociali contro l'Italia in merito alla violazione dell'articoli 31 - diritto ad un alloggio adeguato - della Carta Sociale Europea. Il testo della decisione in italiano è disponibile su www.osservazione.org. cultura trasformandola in una sorta di gabbia immutabile che alimenta nuove forme di razzismo. È necessario riconoscere ai rom lo statuto di soggetti politici e di cittadini attivi in grado di sedersi attorno ad un tavolo comune di progettazione sociale; di questa cittadinanza attiva il campo nomadi ed ogni campo è sempre stato la totale negazione. Abstract This article outlines a brief history of camps for Roma and Sinti in Italy. It discusses continuities and discontinuities in this history and identifies in the discourse on education/rieducation of Roma and Sinti a leitmotiv which link the concentration camps for Gypsies in the 1940s with the «nomad camps» which first appeared as a bureaucratic label and a "positive" solution to the "problema zingari" in the late 1960s. The alleged nomadic lifestyle of Roma and Sinti, which for Nazi geneticists was caused by a specific gene the "wandertrieb", is stili nowadays employed to justify and legitimise the existence of camps and the spatial segregation of their inmates. The camps are built and maintained by locai authorities despite the number of Roma and Sinti families which stili pursue a traditional itinerant lifestyle are a tiny minority compared to the rest of the Roma and Sinti living in Italy. 45 SIGONA, N., Figli del ghetto, op. cit.